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Rosaria Cascio e Salvo Ognibene, autori del libro “Il primo martire di mafia. L’eredità di Padre Pino Puglisi” edito da Edb, affrontano un tema importante, urgente, ricostruendo con una spiccata passione argomentativa l’impegno evangelico e sociale del prete di Brancaccio interrogandosi su che cosa sia cambiato da quel tragico 15 settembre 1993.

Come leggiamo nella prefazione firmata da Nicola Gratteri, magistrato e saggista, e Antonio Nicaso, docente universitario, scrittore e giornalista, “Ci sono ancora tante statue che si inchinano davanti alle abitazioni dei mafiosi e molte processioni che, così come sono organizzate, continuano a rafforzare il dominio dei boss sul territorio, come ai tempi dei fratelli Graviano a Brancaccio”.

I fratelli Graviano, sovrani del territorio, non tolleravano le esortazioni che il parroco rivolgeva alla sua gente, uomini e donne che scelsero di seguire colui che stava indirizzando loro la via della libertà. Non più sottomissione, paura, omertà, degrado, incuria in un luogo dimenticato da tutti ma giustizia e legalità.

Padre Pino Puglisi è stato in grado di smuovere un sentimento di indignazione tra coloro che sembravano assuefatti al potere criminale. Gli autori di un testo che contiene la teoria dell’esperienza resa tale da un uomo il cui punto di partenza era la parola di Dio che diventava azione, realtà, fatto concreto scrivono: “Il sacerdote trasforma il territorio di Brancaccio nel tempio in cui portare il vangelo della carità. La parrocchia si apre ai bisogni delle persone e le incontra nelle loro case, per le strade, nei luoghi in cui nessuno li va a trovare: Cristo non può rimanere chiuso dentro alle sacrestie, la sua incarnazione deve continuare”.

Il volume che porta con sé l’eco di una tensione narrativa equilibrata risulta essere ricco di spunti di riflessione e particolarmente accurato nella documentazione, dettagliata ed esatta. Il lavoro propone uno spaccato socio-culturale di estrema importanza tale da indurre il lettore a riflettere sul ricordo delle opere compiute da padre Pino e non solo su quelle svolte a Brancaccio ma sull’intera sua opera di evangelizzazione.

Don Puglisi ha promosso un modello di parrocchia dove ai bambini veniva offerto il gioco sostituendolo al furto, allo spaccio o ad altre azioni illegali; al folklore religioso il sacerdote ha preferito lasciare spazio a una spiritualità vera. Creando una virtuosa sinergia con le realtà del territorio padre Pino ha messo in circolo un’energia positiva che a seguito della sua morte è andata però disgregandosi.

Tra queste pagine gli autori descrivono “I giorni del senso perduto” come recita il titolo di un capitolo ossia si soffermano su cosa è accaduto nel periodo successivo all’assassinio di padre Pino. Un periodo che vede Brancaccio tornare ad essere un quartiere pieno di problemi dove è ripiombato il buio.

Affondiamo allora in queste pagine luminose di speranza perché all’assenza di padre Pino Puglisi non intendiamo abituarci. La lettura del libro “Il primo martire di mafia” vergato con la massima acribia concettuale e scevro da cavillosità lessicali risulta essere necessaria non solo per ricordare o per conoscere una figura cardine, palpitante di vita, emblema di una società giusta, ma essenzialmente per ripartire da lì dove padre Pino ha ingiustamente interrotto la sua missione.

 

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