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[Com. stampa] “nelle strade c’è la polvere dell’Est e del Middle West, ed è una polvere da cui non cresce nulla, una cultura senza radici, una frenetica ricerca di un riparo, la furia cieca di un popolo perso e senza speranza alle prese con la ricerca affannosa di una pace che non potrà mai raggiungere.” – da Chiedi alla Polvere- John Fante

Dal quartiere Tamburi, dalla città di Taranto prende il via il primo Festival Internazionale di Poesia Civile e Contemporanea del Mediterraneo. Il Mediterraneo, è il mare collocato tra Europa, Africa e Asia che unisce da secoli milioni di persone. E’ quel “luogo in cui i popoli si sono mescolati; quella distesa d’acqua nota per secoli con i suoi porti per scambi non soltanto di merci ma anche di cultura, di idee e di civiltà – Pedrag Matvejevi, nel suo Breviario mediterraneo edito nel 1991, “sottolinea l’impossibilità, di definire i suoi confini precisi. E paragona il Mediterraneo al cerchio di gesso che viene più volte descritto e cancellato, che subisce allagamenti e restringimenti progressivi ad opera di onde, venti, imprese ed aspirazioni.”
Il Festival, si realizzerà nelle date del 13 e 14 Settembre, alla sua prima edizione prende il nome di “Chiedi alle Polveri” ispirato al celebre capolavoro di John Fante, Chiedi alla polvere; il progetto, ha come tema Centrale l’APPARTENENZA, è stato selezionato e sostenuto dall’Assessorato Industria Turistica e Culturale nell’ambito dell’intervento “Fondo Speciale Cultura 2019” –PiiilCulturainPugiia Piano Strategico della Regione Puglia 2014-202o, supportato del Teatro Pubblico Pugliese , organizzato dall’Associazione “Contaminazioni”- ideato e diretto da Tiziana Magrì- avrà come fulcro e base il quartiere Tamburi, rione a ridosso della grande industria, si pone l’obiettivo di gettare le basi per una riqualificazione culturale attraverso un’opera corale.
Nella storia di Fante, di Arturo Bandini, la polvere è il simbolo di un’aspirazione al successo tale da far superare i sogni alla realtà, tale da portare all’infelicità; quella ricerca ossessa al conformarsi, ai falsi miti di una società di solo profitto che ha oscurato l’importanza della vita.
Quella “polvere” fu considerata per Taranto, per il quartiere Tamburi, che in quegli anni – 9 luglio 1960 viene posata la prima pietra dell’Italsider- era attraversata da una violenta crisi occupazionale, una manna dal cielo. Per non morire “ di fame” mezzadri, pescatori, operai, proprietari, e la classe dirigente polica- economica chiesero l’alterntiva del siderurgico.
A distanza di 50 anni, dalla convivenza con l’industria, l’ omologazione culturale, economica e di sviluppo non rappresenta più l’ideale, l’ identità della comunità, non più emarginata negli spazi e nelle coscienze, portatrice di nuove realtà.
Così come Arturo si guarda intorno e vede in ogni angolo, in ogni situazione una possibile storia, un possibile capolavoro; e cerca con le parole di creare la sua storia, quella storia vera d’amore che lo porti fuori dall’essere considerato un disadattato.
Con lo stesso sguardo, con la stessa passione e aspirazione, a Taranto nasce la necessità di rivalorizzare i capolavori sepolti o mai ascoltati della sua storia e de suo patrimonio.
Come Bandini, il protagonista cresce, si scontra con la vita, col passato, col futuro, e poi s’innamora, ci fa l’amore, soffre, si rialza e migliora; Nuovoqui trova l’ispirazione e diventa finalmente quello che era una grande romanziere.
Così Taranto, il quartiere Tamburi ripartirà dalla parola scritta, dalla poesia con l’obiettivo di attrarre l’animo resistente e propositivo di chi la vive, la ama, la attraversa.
Come? Attraverso la sottoscrizione del Manifesto di Appartenenza alla città di Taranto, un modo per recuperare e valorizzare le memorie, per dare voce alle persone e alle loro storie e conoscere la vera anima dei bellissimi luoghi che compongono questa città.
Daremo vita a un Manifesto per lasciarlo in eredità alle generazioni future che porti con sé il rispetto delle libertà, dei valori della democrazia, dell’uguaglianza e dell’impegno umanitario , insieme al senso di protezione verso la propria comunità e l’ambiente in cui si vive.
A partire dalla poesia civile, nelle sue molteplici forme di denuncia, si vuole ambire a creare un momento in cui le fatiche, le speranza e il futuro siano un viaggio della parola di una “congiura di poeti” per dirla con Terzani, “perché soltanto la poesia mi pareva potesse ridarci una spinta di speranza.”
Chiederemo alle polveri, di raccontarci una o tante storie, i luoghi e le persone, i diritti, gli amori, l’umanità; di presentarci il presente e progettarci il futuro, con l’augurio che la poesia diventi azione.

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