Martedì 22 febbraio presso la Biblioteca Bernardini a Lecce si è svolto l’incontro finale del progetto letterario “Idrusa racconta Maria Corti” che ha visto il coinvolgimento degli studenti della scuola Ascanio Grandi di Lecce.

Riporto qui di seguito l’intervento di Paola Bisconti, ideatrice dell’iniziativa.

Perché riscoprire Maria Corti? Perché soffermarsi su una delle figure principali della cultura italiana, una delle voci più importanti del panorama giornalistico nonché scrittrice, filologa, linguista e fondatrice di riviste tra queste alcune d’avanguardia come Strumenti critici e altre di critica letteraria e approfondimenti storici?

Perché accendere i riflettori su un’autrice del nord Italia legata al Salento? Che nel nord, a Milano si è laureata prima in Storia della lingua italiana con Benvenuto Terracini, e successivamente in filosofia con Antonio Banfi per poi fondare a Pavia il Fondo Manoscritti italiano, uno dei centri di raccolta di documenti più grandi d’Europa mentre al sud aveva dedicato la gran parte dei suoi lavori letterari oltre che ad insegnare all’università di Lecce?

Cosa ci ha spinto ad approfondire la biografia e la bibliografia di una donna dalla natura poliedrica e versatile? Appassionata di Dante e del Medioevo tanto quanto interessata agli scrittori contemporanei? Perché scegliere lei tra le poche figure femminili che ha avuto come compagni di percorso nomi di spicco come Cesare Segre, Oreste Macrì, Italo Calvino, Giorgio Manganelli, Mario Luzi?

Perché è impossibile non lasciarsi persuadere da una scrittura metanarrativa e metapoetica, una scrittura nella quale convivono attività critica e passione creativa, teoria e invenzione, storia e mito, cronaca e fantasia, realtà contemporanea e dimensione onirica come quella di Maria Corti che diceva “la prima dà pace, la seconda può produrre di tutto”. La Corti quindi la cui natura così curiosa e appassionata ma anche acuta e rigorosa si sottrae a ogni tentativo di rigida classificazione.

C’è nel desiderio di riscoprire il passato, la necessità di comprendere il presente e lavorare su alcuni testi che sono opere miliari della letteratura italiana come L’ora di tutti affinchè si possa avere una visione più ampia di ciò che ha caratterizzato le nostre origini.

Non a caso l’originalità di Maria Corti sta nella responsabilità di voler essere del proprio tempo e vivere all’interno di una società con uno sguardo lucido e disincantato, producendo una narrativa musicale, con un ritmo danzante.

In quell’espressione oggi divenuta motivo di sorriso come “Mamma, li turchi” risiede la paura atavica di restare inghiottiti nel buio dell’oppressore che altro non è che la forza bieca dell’ignoranza che aleggia come uno spettro in ogni epoca.

La non conoscenza è lo spauracchio delle nuove generazioni che rischiano di cadere nel baratro del vuoto, nella trappola dell’insignificanza o nel vortice di un finto progresso che propina loro modelli da seguire lontani da un reale legame con la vita vera.

Maria Corti scriveva infatti “Modellare la materia incoerente e vertiginosa del nostro immaginario è arduo ma necessario”.

Quando sono entrata nelle classi delle docenti Giuliana e Alberone ho potuto appurare con mano come un pericolo simile fosse lontano. Ho conosciuto giovani studenti i cui sguardi, interventi e partecipazione attiva hanno facilitato un lavoro il cui esito non era certo scontato.

Perché mai i ragazzi avrebbero potuto trovare interessante una storia risalente al 1480 e tanto più il percorso esistenziale di una donna che ha voluto scriverlo?

La risposta l’ho ricevuta in ogni momento degli incontri svolti a scuola. La risposta risiede in una parola che è anche un valore e che è stato un concetto chiave dal quale siamo partiti per dare inizio al nostro lavoro.

È curiosità… è la curiosità che ha animato gli alunni, è la curiosità che ha caratterizzato l’esistenza di Maria Corti.

Questo binomio ha gettato le basi per un percorso che ci ha visto approfondire di volta in volta la vita di una donna che nella solitudine della sua infanzia a causa della morte della madre e delle lunghe assenze del padre ha trovato nella lettura un conforto.

Negli spazi freddi e desolati del collegio che la accoglieva ha compiuto la sua prima ribellione. Di nascosto, nelle notti fatte di brusii e scandite dal passo severo delle suore, Maria Corti ha dato vita a un mondo… il suo. Un mondo inviolabile fatto di incanto, stupore, conoscenza.

Da ragazzina già conosceva i classici della letteratura e niente più della lettura sapeva eguagliare quel piacere e quella sete di sapere che ha caratterizzato la sua esistenza.

Solo la vastità delle montagne del suo nord e l’immensità del mare del suo sud hanno colmato quella sensazione di infinito che permea i suoi scritti, quella consapevolezza che ogni ricerca compiuta era solo una parte millesimale del lavoro che si sarebbe potuto fare.

Biblioteche e archivi sono gli spazi nei quali Maria Corti ha trascorso la gran parte della gioventù, gli anni del liceo e quelli universitari. Sembra non essersi stancata mai Maria Corti, solo a volte si ha l’impressione abbia ceduto allo sconforto ed è stato quando il contesto intorno le risultava troppo ingombrante, fin troppo autoreferenziale, al limite della sopportazione.

Uomini tronfi, docenti impettiti, vestiti nella loro superbia che accoglievano sì una donna ma non senza sottoporla a una costante dimostrazione delle sue capacità.

È svilente fare i conti con una cultura che si imbelletta di progresso ma che è impanata nel pregiudizio.

Questo Maria Corti lo svela nelle pagine del suo diario o in alcune lettere indirizzate ad alcuni degli amici più cari, penne note del periodo culturale dell’epoca.

E lo fa emergere anche attraverso la voce di alcuni personaggi di altri libri meno celebri de l’ora di tutti ma altrettanto fondamentali.

Ancor peggio è fare i conti con un contesto culturale permeato dall’influsso del fascismo e dal pensiero comune che uomini e donne avessero ruoli ben precisi. Maria Corti non poteva di certo sacrificare un’esistenza per diventare l’angelo del focolare e crescere figli inculcando loro ideali quali il patriottismo o il sacrificio in guerra.

Maria Corti era pacifista e libera. Maria Corti era una donna e una scrittrice.

Non sarebbe mai scesa a compromessi con quella Storia, con i limiti di un’epoca permeata da preconcetti e stereotipi. Non a caso l’immagine ricorrente, il mito che più di tutti rappresenta i suoi ideali è Ulisse, l’eroe dalla curiositas inesausta e inesauribile, l’uomo che spinto dall’amore per la conoscenza oltrepassa i propri limiti realizzando così la possibilità dell’Oltre.

Così lei ha tracciato nuovi percorsi e come un richiamo forse delle sirene ha consegnato il suo cuore al Salento e ha scoperto che questa terra è un diamante grezzo da custodire, preservare, ammirare e far conoscere.

Nella sua condizione di avere due patrie, due luoghi interiori, due luoghi mentali a cui sentirsi legata: da una parte la Lombardia con le sue radici illuministe dall’altra il Salento grico, la terra mediterranea, magica e mitica, un mondo di una religiosità arcaica che fonde sacro e profano Maria Corti ha scoperto che il Salento ha l’animo di una donna fiera ma che porta dentro le ferite inferte nei secoli.

La povertà non ha sgualcito l’eleganza innata di un lembo di terra baciato dal mare, col cuore riarso di zolle di terra rossa e di ulivi maestosi oggi ahinoi divenuti macabri scheletri.

Come i monaci basiliani Maria Corti ha compiuto un lavoro certosino affinchè come un’archeologa del sapere eliminasse gli strati di polvere che rischiavano di insabbiare il passato di un popolo e questo cos’altro è se non restituirgli dignità?

Come il monaco Pantaleone, Maria Corti si è mossa alla ricerca delle origini della seduzione intellettuale, ha indagato dove il senso si schiudeva alla comprensione e ha utilizzato i tasselli della storia per comporre un grande mosaico prezioso quanto quello della cattedrale di Otranto.

I tasselli sono le parole e il mosaico è un libro che a distanza di anni continua ad essere letto anche dai più giovani.

Non solo letto ma fatto proprio. È un libro che continua ad emozionare, a suggestionare, a coinvolgere. È un libro che scuote, mette in crisi, ci interroga, ci pone davanti il dubbio e il quesito… e io al posto di Idrusa cos’avrei fatto? Una figura femminile con il suo inquieto desiderio d’amore definita da Oreste Macrì come una martire laica anelante alla felicità.

Lo stesso titolo Lora di tutti fa riferimento a quell’istante in cui a ciascuno di noi è offerta l’occasione di dare prova di sé. Maria Corti raccontando interroga il lettore, fa riflettere su questioni che toccano nel profondo l’esistenza umana.

E quando si entra in un’aula abitata da ragazzi di 11 e 12 anni e gli si pone un quesito simile cos’altro si fa se non far scoprire il valore della lettura?

La risposta risiede in ciascuno degli alunni che hanno viaggiato insieme a me, nel tempo e nello spazio.

La risposta la avremo fra qualche anno magari quando davanti allo scaffale di una libreria ognuno di loro proverà un sussulto di inspiegabile curiosità e vorranno divorare le pagine di quei libri che saranno in grado di offrire storie che altro non sono che metafore dell’esistenza esattamente come quelle che ci ha regalato Maria Corti e noi non solo possiamo ma dobbiamo ringraziarla.

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