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“Peccata” di Antonio Errico pubblicato nella collana “Pretesi” di Manni Editore è un romanzo corale che raccoglie le confessioni di donne e uomini le cui storie si si intrecciano in un Sud senza tempo.

I protagonisti dell’ultimo lavoro di Errico sono dieci penitenti che nell’abbazia Santa Maria della Pietade confessano le loro colpe, il male di vivere, le passioni, la menzogna, il turbamento.

Così in bilico tra amore e sofferenza, dannazione e salvezza, la vita scorre pagina dopo pagina. Si tratta di pagine intrise di luce e ombra, colore e tenebra.

“Pentitevi di ogni vanità, di ogni stoltezza, della superbia, della cupidigia, della lussuria, delle ipocrisie, dell’accidia, delle bugiarde preghiere, delle fantasie smodate, dei tradimenti, delle gelosie d’amore, delle invidie, di ogni malanimo, dei turbamenti del cuore. Pentitevi del sogno, se sogno avete avuto”

Attraverso le confessioni dei personaggi, è possibile seguire una narrazione che come un flusso di coscienza disvela i segreti, le ombre, i deliri e le speranze di ciascuno di loro.

Emerge quindi l’abilità dell’autore nel manipolare le parole e la loro evoluzione, invitando a percepire gli enigmi dell’umano per raggiungere l’autenticità dell’esistenza.

“Avevo vortici d’immagine negli occhi. Figure senza nesso, confuse, frantumate. Che provenivano dalla profondità della mia vita, da una memoria che in quell’ora si sfrenava, mi facevano tenerezza, mi facevano paura, malinconia, rimpianto, sofferenza. Arrivavano alla soglia della mia coscienza e s fermavano lì, perché io potessi riconoscerle. Oppure perché mi potessero riconoscere loro”

Mentre fuori cadeva la neve e infuriava una battaglia, mentre “s’illividiva l’aria”, nell’abbazia ciascuno meditava sul proprio destino. Perdendosi in una scrittura ritmata e avvincente, il lettore può addentrarsi in un labirinto di interpretazioni.

“Sembrava che stesse tramontando anche il mare. L’inverno che avevo dentro lo sentii stemperarsi, si fece dei colori di quel tramonto del cielo e del mare, assorbì quella quiete, quella pace. Sorrisi e piansi”

Il susseguirsi dei monologhi interiori creano un’intensa suggestione letteraria tale quasi da poter essere percepita con più sensi. E in questo amalgama di voci e sensazioni, visioni e odori, melodie e urla, anche noi, ci scopriamo fragili e invincibili.

“Allora mi ha preso come una vertigine leggera, una sensazione di sbalordimento, una vibrazione che mi attraversa il corpo, un tremore pacato, un trasalimento, e mi sentivo sospesa in quello spazio senza tempo, smemorata di me, senza riferimento, così senza nessun passato, senza un giorno appresso, come se il mio tempo fosse solo un fremito, un brivido che passa nelle vene, un sommesso richiamo di coscienza, mi sentivo così, dispersa nella tenebra di quell’infinito meraviglioso, senza un’eco, mi sentivo così, nell’attesa di un’incognita, in un’assenza ricolma dell’odore di mortella”

 

 

 

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