“Mi fermerò ad osservare il mare” di Gabriele Paone

Paola Bisconti cura la prefazione.

Ci sono mostri che tormentano le nostre esistenze anche da adulti. Trascorrono gli anni e il volto dell’orco assume fattezze riconoscibili solo dinanzi agli occhi di chi ha il coraggio di affrontarlo. Il mostro se ne sta lì da anni ormai, nella città dei due mari, mentre i fumi e le polveri mietono centinaia di vittime. Le stesse persone alle quali era stato promesso un futuro di ricchezza e benessere hanno assistito nel corso degli anni alla frantumazione di un impegno proprio come si sgretolano i sogni di un bambino che una volta cresciuto impara a proprie spese quanto sia dura la vita.

Lo hanno chiamato progresso e invece in bocca è rimasto solo il sapore amaro dello sconforto misto alla delusione di coloro che hanno visto sfumare i progetti di una vita felice. Un inganno, un ricatto, un compromesso intollerabile. Ecco cosa è accaduto a Taranto in questi anni, ecco cosa ha lacerato i sorrisi dei bambini e distrutto le ambizioni delle famiglie.

Fronteggiare il mostro è un’impresa titanica eppure tra le pagine di questo libro possiamo individuare un eroe del nostro tempo. Gabriele Paone con il suo secondo romanzo riesce con ammirevole ostinazione a rompere il muro del silenzio, a scardinare la barriera dell’indifferenza e a denunciare i soprusi inferti ai suoi conterranei.

“Mi fermerò ad osservare il mare” racconta due storie che si avvicendano parallelamente in un ritmo narrativo incalzante che consente al lettore di immedesimarsi nelle scelte di Massimo e Toni, i protagonisti del libro. Sebbene i percorsi intrapresi da entrambi si rivelano differenti, c’è un legame sincero e profondo che li lega, un sentimento che li farà ritrovare nella seconda parte del libro dove l’autore acclama il valore dell’amicizia. Una trama intrisa di saldi princìpi come l’unione familiare e l’amore fraterno in cui l’autore cerca attraverso le vicissitudini dei personaggi di esprimere la stessa indignazione che provano in tanti nel constatare lo stato in cui verte Taranto, una città splendida, con un passato glorioso e una storia da ricordare ai posteri.

Si tratta di una situazione che acuisce in Massimo il desiderio di fuggire sebbene sia logorato dal timore di fare la scelta sbagliata e per questo si ripete “Taranto non si lascia, si combatte, siamo spartani”. Ma come si può continuare a vivere lì dove sembra più facile morire? La scelta di lasciare la Puglia per andare a vivere a Milano sorprende amici e parenti che però comprendono le ragioni che inducono Massimo a compiere una decisione così difficile dettata dalla scandalosa diatriba tra diritto alla salute e diritto al lavoro. Dove non trascorre giorno in cui non si annunciano notizie relative alle morti bianche in fabbrica così come aumentano spaventosamente i casi di uomini, donne e bambini che scoprono di essere affetti da malattie tumorali. Che società è quella che non interviene dinanzi a una tale diseguaglianza, che non opera sulla strada del giusto, con il solo fine della felicità generale?

Lasciandosi trasportare da una narrazione pulsante, il lettore scorre i tredici capitoli corredati da un epilogo in cui la scrittura di Paone attrae e affascina. Nell’immediatezza dei messaggi, nell’essenzialità dei passaggi biografici dei protagonisti della trama, si coglie la tenacia di un giovane autore che crede fermamente nel potere della scrittura ritenuta la migliore arma per esprimere disappunto di fronte alle scelte scellerate di politici e imprenditori che senza scrupoli hanno favorito il disastro ambientale. La scrittura, quindi, per raccontare e raccontarsi; per ribellarsi e difendersi.

Il romanzo di Gabriele Paone scritto con una padronanza sorprendente e con una destrezza letteraria che lascia presagire un futuro radioso per il talentuoso scrittore, fa riflettere su numerosi aspetti in particolare sulla banalità del male, il concetto introdotto da Hanna Arendt che spiega la disarmante indifferenza degli esseri umani dinanzi alle azioni violente e criminose. Nella vicenda tarantina accade qualcosa di simile: tutti intuiscono la tragicità della situazione, in molti presagiscono il triste futuro della città eppure nessuno è riuscito a sconfiggere quel mostro prima che lui mietesse anime innocenti.

L’opera letteraria di Gabriele Paone è una testimonianza forte e coraggiosa, ardua come l’impresa del titano che è cosciente e consapevole di come sia difficoltoso debellare il nemico, ma che vale ugualmente la pena provarci. Paone ha combattuto con l’intensità di un uomo che ama profondamente la propria terra difendendo il sacro valore della vita e disprezzando coloro che lo profanano in nome di un falso progresso.

Elemento cardine del libro è il mare, emblema del racconto dal quale l’autore (e i personaggi stessi del testo) traggono energia, linfa vitale. Un mare avvelenato, contaminato dalla diossina, nel quale hanno sversato per anni pcb e metalli pesanti. Taranto, la città più inquinata d’Italia, costituisce l’esempio di un’industrializzazione che dovrebbe essere sostituita da un risanamento ecologico. Ma per arrivare a questo occorre prima ripulire le coscienze e un romanzo come quello di Gabriele Paone non può che contribuire a riflettere sul coraggio di cambiare e migliorare perché l’autore, con onestà intellettuale fa notare la mancanza di volontà nel rinnovarsi, l’incapacità di immaginare alternative e di studiare strategie imprenditoriali in grado di assicurare professioni che guardano avanti, ad un futuro migliore. Il mestiere dello scrittore è uno di quelli e Gabriele Paone lo svolge egregiamente.

 

Paola Bisconti

 

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