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Uscirà a settembre il nuovo romanzo di Elena Rausa “Ognuno riconosce i suoi” pubblicato dalla casa editrice Neri Pozza. Dopo il successo del romanzo “Marta nella corrente” la talentuosa autrice propone un nuovo lavoro editoriale che vede come protagonista Caterina Miani, una giovane donna che ricostruisce il suo passato ordinando i tasselli della propria esistenza vissuta insieme al cugino Michele.

La storia è ambientata negli anni Novanta ma molteplici sono i riferimenti ad un periodo ancora più lontano quando in Italia si viveva la ribellione portata dalla rivoluzione del Sessantotto e poi ancora quando l’anarchia degli anni di piombo seminava il terrore.

La ragazza ordina i ricordi della sua famiglia scoprendo delle verità che la aiuteranno a comprendere ciò che durante l’infanzia e l’adolescenza le sembrava incomprensibile e che tanto dolore sembra averle procurato.

La grazia con la quale Elena Rausa narra i sentimenti di Caterina è impeccabile tale da creare sussulti di stupore dinanzi alla potenza stilistica di alcune espressioni che rinvigoriscono la narrazione rendendola particolarmente intensa.

“Non sai mai dove finisce il ricordo e inizia la mitologia familiare, per questo ho bisogno anche di loro. Chiederò, scriverò, ne uscirà un ricordo che non appartiene per intero a nessuno, apocrifo, ti dico, come sono tutti i ricordi, ma forse, lo stesso, in questo gioco di specchi ci riconosceremo.”

Ci si affeziona a Caterina per la sua autenticità, per quella rabbia che è un misto di dolcezza e tenerezza da dare e da ricevere. La si segue in silenzio nel suo racconto sincopato e non si vuole perdere nulla di una vicenda che non è un mero susseguirsi di fatti piuttosto la volontà di addentrarsi nella vita e provare a comprenderla… almeno un po’.

“Tutto il mio camminare a ritroso e il resoconto che scriverò possano diventare un giorno la tua strada per casa”.

È per Michele che Caterina racconta, per quel ragazzo ora steso su un letto di ospedale milanese con il quale ha vissuto come fosse suo fratello. È a lui che affida il suo narrare, è il regalo ultimo che offre ad un personaggio che sembra avere un ruolo chiave nella storia.

I fratelli/cugini sono cresciuti con Sandro e Teresa, i genitori di Caterina. Lui lavorava per una grande multinazionale americana e lei insegnava matematica all’istituto tecnico. Un impiego che la donna ha dovuto lasciare per occuparsi dei bambini eppure nonostante la negazione di un diritto, Teresa ha continuato a difendere la sua indipendenza:

“La libertà che ha perso, Teresa la cerca nei libri. La notte, per non disturbare nessuno, sale la scala che porta al tetto. Legge di nascosto, sotto le stelle, col mozzicone delle candele rubate all’altare del Madonna della Campana.”

Sono donne forti quelle che ci presenta Elena Rausa in questo suo secondo romanzo, sono figure femminili che custodiscono la forza dirompente delle proprie convinzioni ma che a volte appaiono fragili come foglie secche. A donare linfa vitale è la parola di un racconto vivido e vigoroso nel quale compare Anna, la sorella di Sandro, la donna che affidò Michele alla famiglia di Caterina quando il bambino aveva solo quattro mesi per poi sparire e dileguarsi in una nuvola di mistero.

“Dei tuoi primi mesi e di Anna non potevi sapere ma, se il corpo conserva una sua memoria, la privazione dei primi giorni lontano da lei è qualcosa che nessuno potrà esaurire mai più. Può essere che sia stata la fame di abbracci la vera eredità di tua madre”.

La madre Anna non poteva prendersi cura del suo bambino perché inseguiva la sua guerra. Una guerra di cui i giornali del tempo non parlavano apertamente, ma che era visibile nei bastoni con i drappi rossi, nelle bombe incendiarie durante i cortei, nei pestaggi, nelle spranghe, nei coltelli, nelle piazze esplose e piene di sangue, nei treni saltati.

“Di Anna a quel tempo non si parlava mai. Era la ragazza della foto sulla credenza, la sorella di Sandro, un nome e basta. Non ci passava per la mente di chiedere altro. Tua madre è stato il più resistente dei nostri segreti, uno di quei confini che non ha senso discutere.”

E i confini sembrano disintegrarsi nella fluidità della narrazione che conduce il lettore nel Salento, nella terra scelta dallo zio Nicola per ricominciare a vivere insieme alla compagna Daria. La bellezza del territorio emerge fuori da ogni clichè, è genuina come lo sguardo di Caterina e Michele che qui da fanciulli hanno trascorso le vacanze.

“L’auto attraversa la campagna in un silenzio interrotto soltanto dalla voce di Nicola che nomina posti che Teresa dovrebbe conoscere: Galatina, Noha, Collepasso, il fondo di compare Uccio alla Campana, quello di zio Tito sulla strada per Melissano. Ascoltiamo e non ascoltiamo, cerchiamo un mare che non c’è, nascosto dagli ulivi che resistono contorti al vento che adesso vela l’azzurro di nuvole lunghe e leggere. […] ma in un giorno di calma di vento, le onde come veli di seta, davanti a quella tavola immobile sei rimasto assorto e a chi te ne chiedeva ragione hai risposto soltanto: il grande blu. L’espressione è entrata nel gergo di casa e da lì in poi il grande blu è stato il nome che tu hai dato al mare, anzi proprio a quel mare, alle acque di quelle nostre estati, che nei giorni migliori sfumano dal verde al turchese fino all’indaco orizzonte che le separa dal cielo”.

La lettura di “Ognuno riconosce i suoi” è intensa e coinvolgente. Si prova ad immaginare questa donnina caparbia che con fare certosino compone il mosaico del suo trascorso, che prova ammirevolmente ad affrontare con tenacia una gravidanza che la vedrà a breve madre di Agnese, frutto dell’amore con Pietro.

Caterina rappresenta tutte coloro che bramano un’epifania di gioia e che sanno poterla trovare tra le righe del proprio passato. Camminano verso il futuro ma lo sguardo gaudente osserva ciò che è stato lasciando che l’irruenza del vento scompigli tutto esattamente come lascia intuire la bellissima immagine di copertina.

“Mi dico che bisognerebbe specializzarsi in archeologie familiari, ma poi non so neppure se è questa la strada giusta. Siamo stati qualcosa, questo conta, poi ognuno è andato, continua ad andare dove è scritto che vada. Magari dovremmo solo farci bastare una storia così.”

 

 

 

 

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