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Intervento di Paola Bisconti durante l’iniziativa “Nato sulle rive dello Jonio… Angelo lippo” promossa dall’associazione Fucina 900 e svoltasi a Taranto venerdì 22 marzo 2019 presso Gagarin Spazio Sociale. L’incontro organizzato da Stefania Castellana ha visto il coinvolgimento di Mauro Marino, Marco Costante e della famiglia Lippo.

Ho conosciuto Antonella Lippo diversi anni fa in occasione di una presentazione di un volume che ho scritto insieme a Roberta Natalini. Si trattava di un testo nel quale sono state raccolte le testimonianze delle donne tarantine che con coraggio hanno sostenuto le tragiche conseguenze generate dal mostro… mi riferisco ovviamente all’Ilva.

Quel lavoro editoriale intitolato “Le rose d’acciaio” fu per me un’occasione preziosa se non necessaria per contribuire a mantenere accesi i riflettori su una questione che ci chiama tutti in causa e insieme alla coautrice ritenemmo opportuno lasciare che le protagoniste del lavoro fossero i volti invisibili della società tarantina, le donne che nella loro quotidianità combattono per se stesse, per i figli o i mariti.

Ci premeva raccontare questa nuova epopea senza enfasi alcuna ma riportando le parole di coloro che in prima persona hanno dovuto fare i conti con quello che qualcuno aveva previsto, immaginato, anticipato.

Le parole quindi…

Le parole diventano il motore d’azione per compiere un’impresa forse titanica anzi certamente ma solo ed esclusivamente le parole riescono a scuotere le coscienze, ad aprire gli occhi, a generare nuove consapevolezze.

Mi riferisco quindi alla forza intrinseca che la letteratura, il giornalismo, la narrativa, la saggistica e… la poesia possiedono.

Una forza e un potere così persuasivo da rimanere vivo anche quando coloro che hanno scritto non ci sono più.

È per questa ragione che oggi, stasera, abbiamo voluto dedicare questo incontro a chi alla parola ha affidato i sentimenti più nobili dell’essere umano, a chi ha vergato liriche di una veemenza tale da generare un fremito in colui che le ascolta, a chi ha incarnato la giusta indignazione e si è proposto di richiamare il lettore a scelte rigorose e ad una consapevole concretezza, a chi con una voce persuasiva e intensa ha riversato tutto il fervore umano, l’indignazione, lo sdegno, la collera dinanzi alle miserie morali di una società sempre più inaridita, attratta dal progresso industriale, in grado di rinnegare il sacro legame con la terra… con il mare.

Quell’uomo è Angelo Lippo.

“Sono nato sulle rive dello Jonio” scriveva il poeta, scrittore, critico letterario e artistico, nato a Taranto nel 1939 e in questa terra ha svolto con ammirevole impegno il suo ruolo da intellettuale lucido e attento ai problemi della sua città.

Del percorso professionale di Angelo Lippo abbiamo molte informazioni riportate su alcune pubblicazioni postume la sua morte avvenuta nel 2011 ma anche tramite delle fonti reperibili dal web tuttavia i suoi scritti sono ancora poco conosciuti e questo grande vuoto non attende altro che essere colmato.

Relatore nei Convegni nazionali, fondatore di riviste letterarie prestigiose, collaboratore di testate giornalistiche locali e non, promotore di manifestazioni culturali di altissimo livello, autore di molteplici scritti, molti editi alcuni ancora inediti, Angelo Lippo è stata una figura cardine di un contesto culturale che va oltre i confini della città di Taranto.

Ma questa sera è sull’aspetto poetico che vorrei soffermarmi e far sì che la ricorrenza della giornata mondiale della poesia annoveri tra le firme meritevoli di attenzione anche l’opera poetica di Angelo Lippo.

“è finita la tregua/scrivo e combatto” scrive Lippo in uno dei suoi componimenti e leggendolo si ha l’impressione sia un’esortazione a destarsi dal torpore e far sì che quella tregua termini presto per lasciar posto a una lotta.

Ma vedete… c’è una parola chiave posta subito dopo il termine tregua ed è precedente al vocabolo combatto.

Quella parola è scrivo. Scrivo e combatto.

Sta qui la grandezza della sua poesia, la nobiltà del suo spirito umano. Nell’affermare con incredibile intensità l’importanza della scrittura intesa come unica ed efficace forma di lotta.

Critici ed esperti hanno scritto sulla poesia di Angelo Lippo delle considerazioni veritiere.

Ne leggo qualcuna:

«…il verso incalzante, sottile, si mantiene sempre alto, distinto, assumendo tutta quell’ampiezza di sonorità e di canto propria della poesia senza inganni.» o ancora <<Il suo è un linguaggio attuale, onora la parola di segno poetico senza liricizzarla in assoli esaltanti o renderla strumento di virtuosismi interpretativi>> e poi <<E’ Una poesia veemente di corposità, dolorante e testimonianza di quell’essere scomodi al mondo>>.

Angelo Lippo sentiva su di sé tutta la responsabilità nel denunciare il massacro alla vita perciò scrive di coraggio ma anche di vigliaccheria, scrive di speranza e di buio alle spalle. Scrive di disumano e di apocalissi verbali.

Ci ricorda che quando ci accorgeremo di tutto il male che è stato fatto sarà troppo tardi.

Lo notiamo nelle seguenti liriche:

Quando contare

Ci potremo ad uno ad uno

Non meravigliatevi

del buio alle spalle.

Siamo stati disuniti troppo tempo.

 

Non tremate!

qualcuno accenderà ancora bivacchi

su facce di luna

stupite di narrarsi

come un giorno.

 

Non tremate!

I vigliacchi

pagheranno da soli

le malefatte loro

e forse ci sarà

la speranza

di un’alba pulita.

 

Quando entrare

ci potremo ad uno ad uno

non meravigliatevi

del buio alle spalle.

 

E ancora

 

Requiem bianco

 

Non c’è nulla da domandare

Da ispezionare. E’ inutile calarsi

dentro il tubo delle illusioni:

risparmiatevi il sudore dell’impresa.

Credete alla mia sincerità:

non impazzite sul dolore della vedova.

Il disumano è dentro e non può essere

sconfitto con le apocalissi verbali.

Chi è morto non sa più,

chi è vivo non vuole sapere.

Coprite il morto e cantate in coro:

addio.

 

Quando ti hanno raccolto all’alba

Avevi il vestito macchiato di verde.

Un filo d’erba della tua terra s’era posato

Come a ricordarti i natali.

Certo avresti sorriso- da vivo-

Pensando che tutto ritorna come prima.

E di nuovo non c’è che il rantolo del mare

Che piange su rottami di vecchi cimeli.

 

Coriandoli di barche inanellano la marina.

Gioca in silenzio il pescatore

E non pensa che domani getterà la rete.

Il sole ha bruciato il suo viso.

Gli altiforni hanno spento il tuo.

E la vita si ripete

Soltanto

Nel pianto delle donne.

 

Condoglianze signora.

Strette di mano e via.

 

Ecco che in questa seconda poesia compare il mare, un elemento fondamentale nella sua produzione poetica. Egli stesso si definisce “pescatore di sillabe” e nella vastità del mare Lippo trova la densità del suo discorso poetico.

A tal proposito Donato Valli scrisse «Belle le poesie, così essenziali, asciutte, ‘meditate’, portate al limite estremo di una sponda oltre la quale, dal battito dell’onda, avvertiamo l’essenza della vita.>>

Un’esistenza che è paragonata allo scorrere delle stagioni. Leggiamo “Le lune moltiplicano le maree”.

Diciamo pure che la pulizia

È una tortura blasfema per pochi.

Non dimentichiamo il cammino

Di fremiti. Le rive dello jonio

Si rompono come cocci d’argilla

Il viatico è l’ultima frontiera

Il pasto da consumare

Sul tappeto dei progetti

Che si negano che si attraggono

E si ridicono cose e parole

Ma nessuno sogna più nulla.

Anche le stagioni sono un inutile

Appuntamento. E tutto corre.

Il mare e la terra sono gli idiomi della produzione poetica di Lippo che in essi cerca disperatamente l’anelito di infinito e lo esprime con questa strofa:

Dipingere di libertà

Le spalle abbronzate dei contadini

È un male che m’inchioda

Alla terra e mi fa sanguinare.

Per dipingerlo così

Il mio Sud

Storia:

la mia vita ti cedo

 

Immergersi nella poesia di Angelo Lippo ha significato per me scardinare la ruvidezza dei tempi amari che viviamo e abbandonarmi all’armonia sinuosa di uno stile che inebria di speranza e mi riconcilia con la vera essenza della poesia.

È sufficiente perdersi in questi versi

Mutevole voce è la mia

Che non s’adagia sulle certezze.

La vita mi trova sempre in trincea:

quando mi inebria di luce il giorno.

Chi mi rimprovera non mi conosce

E non ama neppure la natura.

 

Io sono un vagabondo dell’aria

Che mette ali ad ogni vento.

o ancora

Altra luce

Qui altra luce risplende:

le pietre asciugano presto

la bava umida della notte;

 

gli ulivi sublimano abbracci

le donne reclamano tepori

che trasmigrano spesso altrove.

Qui altra luce risplende:

la pazienza dell’uomo del Sud.

 

Cos’è quindi la poesia per Angelo Lippo.

Filo diretto è la poesia:

spicchioluna  dalle fresche promesse

aranciaestate dai caldi inviti:

riprendiamo il discorso interrotto:

oggi ho il buzzo giusto.

Ma da dove nasce questa urgenza di narrare in versi il turbinio di emozioni che animano l’esistenza di quest’uomo definito a ben dire «Il maggior poeta dell’ultimo Novecento tarantino.>>

A dare una risposta è Lippo stesso in un’intervista dove dichiara: “sono nato “poeta”, più precisamente mi piace classificarmi come “scrittore in versi”, il che fa la differenza. Le prime poesie furono “dettate” dai sentimenti che provavo per una mia coetanea, una fanciulla dolcissima, ma era soltanto un innamoramento platonico, e tale rimase. Poi l’amore per la mia terra, la Puglia, mi gettò in braccio ad una sorta di lirismo naturalistico-panteistico, che per fortuna riuscii a mitigare grazie ad una forte passione “pubblicistica”, attraverso la quale riuscii a focalizzare la mia poesia entro àmbiti meno gratuiti. Devo precisare che l’ambiente culturale della mia città non offriva alcuna spinta ad alimentare quest’ambizione, per cui mi trovai, con qualche altro solitario “compagno di strada”, ad affrontare problemi infiniti per riuscire a farsi accettare dall’establishement culturale, fortissimo soprattutto al Nord dove i giochi di potere venivano lanciati dalle grandi Case Editrici. Però non mi sono mai perso, ho divorato migliaia e migliaia di testi di poesia e di letteratura. Oltre gli italiani (naturalmente Montale, Ungaretti, Quasimodo, Luzi, Caproni, Palazzeschi, Sereni, Betocchi, Rebora, Pasolini, Pavese, Campana e altri ancora) mi piaceva conoscere le realtà di altri paesi, per cui ho masticato tanto Baudelaire, Apollinaire, Neruda, Celan, Achmatova, Pasternak, Tolstoj, Dostoievskii, Eluard, Breton, Mallarmè, che avevano il merito di spalancarmi territori davvero subliminali. Ma mentre ero alle prese con la poesia, parallelamente frequentavo studi d’artisti, visitavo mostre. Ricordo i primi timidi approcci con la “critica d’arte”, e a poco a poco quel demone mi ha rosicchiato dentro, è penetrato nei polmoni ed oggi mi trovo “diviso” fra la Poesia e l’Arte. Pertanto non so se sono più poeta, scrittore o critico d’arte. Di una cosa sono sicuro: sono sempre me stesso.”

Sono sempre me stesso. La coerenza è un tratto distintivo nella personalità di Angelo Lippo che nella poesia cerca una ragione d’essere della vita e soprattutto non ricorre mai ad un’ideologia della poesia. E in essa compie la ricerca dell’uomo, quella di proiettarsi in un futuro che lo veda mutato dentro, più vicino alla verità.

La sua è una personalità che ci ricorda l’utopia dei grandi della storia del Sud.

È immediato infatti pensare a Tommaso Fiore, poeta e politico, che raccontò nel celeberrimo libro “Un popolo di formiche” lo stile di vita dei più poveri del Meridione, coloro che Fiore definì i cafoni, espressione coniata per sottolineare lo stato disumano nel quale erano costretti a vivere. L’impegno di Fiore per la tutela della dignità della gente del Sud si riflette nell’impegno di Lippo certo del fatto che “la storia non si scrive con i se ma guardandola in faccia”.

Nella stessa misura ritorna alla mente un’altra figura cardine del sud Italia. La carica ideale e morale di Angelo Lippo ricorda inevitabilmente la rudezza realistica di Rocco Scotellaro che in Basilicata tanto si adoperò per il benessere della sua comunità… la stessa che poi lo calunniò eppure malgrado la prigione dove si dice Scotellaro leggesse le poesie e dalla sua cella si levava la voce dignitosa dell’essere umano che non si lascia schiacciare dal marciume delle ingiustizie sociali, di Scotellaro, politico e poeta rimane la sua capacità di “essere uno degli altri” come egli stesso scrisse in uno dei suoi componimenti proprio come Lippo che lottava per la sua gente.

Lippo ci ricorda certamente l’impegno di Danilo Dolci che pur non essendo pugliese era infatti di origini settentrionali ha lavorato per restituire dignità alla gente del sud.  È impossibile dimenticare quanto fece a Trappeto in Sicilia con la creazione della diga o, le manifestazioni contro la mafia e gli interessi economici che uccidevano ogni anelito di speranza tra i siciliani. Ma tra Danilo Dolci e Angelo Lippo notiamo anche l’aspetto sociologico della poesia e il ruolo che si attribuisce a questo linguaggio ai fini di un riscatto sociale. Lippo infatti deplora il radicale cambiamento nel quale non si ritrova, non accetta la lenta dissoluzione di un mondo arcaico, rimpiange la calma rasserenante di quel paesaggio agreste con i suoi lenti ritmi e il dolce alternarsi delle stagioni.

La perdita definitiva di questa arcadia lo induce a comporre spinto da una coscienza etica e da una passione morale così si compie un altro accostamento che ci riporta in Puglia, nel Salento, ed è immediato scorgere assonanze tra Angelo Lippo e Girolamo Comi. Entrambi hanno maturato il desiderio di creare oasi di cultura in un territorio abbandonato da tutti. Comi lo ha fatto dando vita all’Accademia salentina a Lucugnano e Angelo Lippo creando un fermento di iniziative culturali e avviando esperienze letterarie come riviste e le molteplici pubblicazioni.

Inevitabile è ricordare un’altra figura chiave del Novecento che con Lippo ha in comune il senso cristiano della poesia.  Mi riferisco a Michele Pierri, medico originario di Napoli ma che ha vissuto e lavorato a Taranto nonché uno dei fondatori dell’Accademia Salentina insieme a Girolamo Comi.

Come sappiamo la poesia di Pierri è pregna di religione, sono molteplici i riferimenti alla fede cristiana e all’immagine di un Dio redentore.

Nella poetica di Lippo questo aspetto è accennato ed egli stesso dichiara “ritengo di sì che c’è un senso di religione nella mia poesia ma in una concezione allargata, per così dire, della parola cristiano. Mi sento un poeta laico frequentemente percorso da brividi di ricerca cristiana”.

Ma se i nomi citati ci fanno pensare ad un Salento remoto annulliamo l’idea che può averci sfiorato immaginando Angelo Lippo come una figura arcaica perché è molto più attuale di quanto possiamo immaginare.

La sua attualità può essere messa a confronto con la lucidità incredibile di Alessandro Leogrande, giornalista e scrittore tarantino come Lippo, venuto a mancare troppo presto e nonostante ciò di Leogrande abbiamo un’eredità di incredibile valore.

Ebbene entrambi hanno avuto la capacità di guardare oltre le barriere, i confini mentali, le restrizioni culturali. Hanno saputo ampliare i propri orizzonti divenendo voce dei più soli, delle vittime, dei deboli disapprovando la spietata distruzione di antichi valori, frutto di un’arida e corrotta operosità tesa solo all’immediato consumismo.

Ci sarebbe da soffermarsi in maniera più dettagliata sulle figure che ho menzionato trovando nuovi elementi che accomunano Angelo Lippo agli altri scrittori tuttavia è certamente immediato cogliere in tutti i personaggi il tratto caratterizzante ed è l’uso della parola, una parola libera da falsità, ipocrisie, inganni.

La capacità di esprimere attraverso essa il proprio pensiero, utilizzandola per denunciare lo scempio che la città si avviava a vivere con l’insediamento di un colosso industriale abnorme.

La sua è quindi una poesia che è interiorità macerata e sofferta.

Le sue sono “Parole come pietre” e attraverso esse ci ricorda:

”la mia città ha un cuore tenero

anche se produce acciaio

cercatela…”

 

 

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