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“Sono stato l’assistente del dottor Mengele. Auschwitz dagli occhi di un medico ebreo-ungherese” è un libro scritto da Miklos Nyszli, sopravissuto ai campi di sterminio e testimone dei peggiori crimini compiuti sull’umanità per opera dei nazisti. Fra le pagine del testo l’autore ha descritto quello che è stato l’oltraggio più lucido e feroce mai inferto alla ragione umana, Miklos Niszly ha raccontato ciò che si può definire processo di annichilimento e disumanizzazione dell’essere umano.

Il memoriale pubblicato per la prima volta in Ungheria nel 1946 è giunto ora alla sua terza edizione, disponibile in lingua italiana grazie al pregevole lavoro svolto dal traduttore Augusto Fonseca, direttore della collana Memento di Deltaedit, la prestigiosa casa editrice di Stefano Solazzo che ha pubblicato il testo.

La meticolosa cura dei dettagli a livello grafico, l’appropriata distribuzione delle varie immagini così come le note saggiamente collocate all’inizio e alla fine del libro contribuiscono ad offrire un prezioso reperto storico, indispensabile per la memoria collettiva.

Il testo suscita non pochi turbamenti nel lettore che inevitabilmente rimane esterefatto dinanzi alla descrizione minuziosa e scrupolosa di alcune macabre atrocità compiute all’interno del campo che Nyszli definisce “sacrario di milioni di persone” ma si aggiungono anche pagine intrise di pathos come quelle in cui l’autore descrive la ricerca spasmodica della moglie e della figlia all’interno del campo o ricche di commozione come quando l’uomo viene colto dalla nostalgia e inizia a ricordare i momenti felici trascorsi nella sua accogliente casa dove viveva serenamente insieme all’amata famiglia.

Il racconto ha inizio con l’incarico di Miklos Nyszli che grazie alla sua ottima conoscenza della medicina legale e la destrezza nel praticare le autopsie, diviene l’assistente del dottor Mengele. Per lui avrebbe dovuto ispezionare decine di cadaveri al giorno. Tra tutti i criminali, il dottor Mengele era il più pericoloso, dotato di un potere straordinario, era il numero uno del campo di concentramento, era lui che selezionava i deportati che scendevano dai convogli, era lui che ordinava di effettuare delle ricerche il cui “grande scopo” era la moltiplicazione della crescita naturale della “razza superiore” eletta per comandare.

Si trattava di una pazzia pura escogitata dalle menti malate dei teorici della razza del Terzo Reich che hanno ucciso milioni di persone convinte che avessero un influsso negativo sull’umanità.

Ciò che sarebbe dovuta essere una brillante carriera professionale per Miklos Nyszli si trasformò in un inferno che ebbe inizio con la tatuazione sul polso del numero A8450, un vero e proprio “marchio da macello”. Il dottore venne poi fatto alloggiare nelle stanze di Birkenau dove prestò servizio nella baracca sperimentale del kappa-zeta, un accampamento che non aveva nulla a che fare con le moderne e attrezzate sale anatomiche.

Lo specialista diviene così un osservatore acuto che con uno sforzo titanico tenta di imprimere nella mente le barbarie compiute in quei luoghi dell’orrore.

Scrive “guardo l’armonica operatività dei diversi elementi di quella fabbrica di sterminio colossale, il suo meccanismo, l’odore infernale che regola tutto il lavoro”. L’uomo portava con sé una pena infinita per il ruolo svolto all’interno del campo, per aver ubbidito alla follia di un pazzo fanatico che si riteneva un genio con teorie pseudoscientifiche. Oggi però a distanza di anni possiamo dire che senza quel sacrificio, molto probabilmente non avremmo mai saputo ciò che è avvenuto ad Auschwitz.
Consapevole dell’atroce destino a cui andava incontro, avvertiva la tragicità della situazione e si sentiva impotente credendo quasi di impazzire eppure Miklos Nyszli non ha mai perso la speranza: “La morte ci guarda dalle canne dei mitra delle sentinelle, ma noi abbiamo voglia di vivere. Vogliamo scappare da questo luogo verso la libertà. Non intendiamo restare schiacciati dagli stivali dei nostri assassini”.  Spesso era anche in grado di offrire sostegno a chi non reggeva la drammaticità della realtà, rivelandosi un uomo profondamente buono e generoso.

Seppur il medico non si sia lasciato cogliere dalla disperazione, aveva un interrogativo che sovente lo tormentava “Se un giorno tornassi in libertà e raccontassi quello che ho visto pensate che sarei creduto? Non ci saranno parole adatte a dare l’impressione di quello che è accaduto”. E ancora “Ma per volontà di chi sulla nostra sventurata gente si è abbattuta questa serie di atrocità? Se per volontà di Dio allora Lui in questo momento molto probabilmente si starà vergognando siccome non può aver voluto una tale mostruosità”.

Miklos Nyszli  dopo aver visto la morte ben due volte davanti al plotone d’esecuzione, dopo aver marciato per giorni e notti al freddo, dopo l’internamento nel campo di Mauthausen e di Ebensee, riuscì a salvarsi. Distrutto nel corpo e nell’animo tentò di riprendere in mano le redini di un’esistenza martoriata da profondi dispiaceri e inconsolabili angosce facendo ritorno verso casa, dove dopo pochi mesi riabbracciò la moglie e la figlia anch’esse miracolosamente sopravvissute allo sterminio.

Nonostante il suo cuore fosse invaso dalla tristezza per aver assistito agli assurdi esperimenti ordinati da chi riteneva gli Ebrei, gli Zingari, gli omosessuali, i testimoni di Geova, i disabili, come persone inferiori; dopo aver visto come nel giro di pochi secondi, le esse-esse riuscivano ad uccidere con il gas 3000 persone, Miklos Nyszli non solo decise di tornare ad aiutare gli altri svolgendo il suo nobilissimo mestiere di medico ma trovò anche la forza e il coraggio per raccontare una delle pagine più nere della storia.

Come si legge nella sua dichiarazione infatti l’autore scrive il libro “non spinto da alcuna passione, senza alcuna esagerazione né particolari coloriture. Con questo lavoro non ho assolutamente intenzione di conseguire successi letterari. Io sono un medico, non uno scrittore”. Le sue testimonianze saranno indispensabili anche nel 1947 a Norimberga durante il processo che condannò uomini “terribilmente normali” che si macchiarono dei più gravi crimini contro l’umanità.

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