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“Il mondo va male e il cibo ne è la metafora” scrive Daniele De Michele alias Don Pasta nell’introduzione del suo ultimo libro “Kitchen Social Club. Manifesto dei cuochi, del cibo e delle cucine sociali e popolari. Storie&Ricette” pubblicato da Altreconomia.

Il testo contenente una teoria dell’esperienza è un censimento di cuochi, contadini, apicultori, mastri birrai, distributori, reti solidali, migranti, consumatori, osterie, spazi occupati che in Italia costituiscono una rete salda e virtuosa di resistenze. Resistono ai prodotti industriali, a quei modelli di produzione senza etica e valore, allo sfruttamento di uomini e donne, alla standardizzazione delle sementi e a tutto ciò che sfrutta il cibo e le persone.

Venticinque sono le storie di cibo (dalle Arance allo Zafferano) accessibile a tutti ; venticinque sono le ricette di osterie a filiera corta e trattorie meticce; venticinque sono i racconti di contadini militanti e di prodotti “genuini e clandestini” che Don Pasta, artista di fama internazionale, dj, economista, definito dal New York Times “uno dei più inventivi attivisti del cibo” raccoglie nel libro caratterizzato da una passione argomentativa che conduce il lettore su strade inesplorate.

Dopo il successo di “Artusi Remix” edito da Mondadori Electa, una vera e propria bibbia della cucina del ‘900, e “La Parmigiana e la rivoluzione” pubblicato da Stampa Alternativa, De Michele ritorna con un volume che appare come un omaggio a quanti con audacia hanno saputo avviare con caparbietà e intelligenza la loro piccola grande rivoluzione difendendo ammirevolmente la sacralità del cibo nella sua genuinità.

Il testo, agile e snello, chiaro ed esauriente, è una delizia che sazia il nostro intelletto.

Con la postfazione di Alberto Capatti, storico del gusto, e le interviste a cura dei giornalisti Massimo Acanfora e Umberto Di Maria è stato ricostruito un paesaggio di storie, un pezzo d’Italia che va dalle Alpi a Capo Passero finora mai raccontato, dove i protagonisti sono i sapori irriducibili e le ricette imperfette. È questo “un manifesto che non è fatto di regole e assiomi ma di valori e di dubbi: ogni parola è come il seme sotto la terra, che non si sa se germoglierà o rimarrà silente”.

Certi del fatto che il cibo fa parte di una relazione solidale tra chi lo produce e i consumatori, tra le pagine di “Kitchen social club” che hanno con sé una peculiare potenza espressiva si esalta il cibo non come merce ma piuttosto come patrimonio di tutti.

Ecco allora come l’alimentazione può fornire le basi per avviare un attivismo culturale dove ciascuno con le proprie scelte e azioni può compiere un atto di militanza.

 

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