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Non smette di stupirci ed emozionarci il poeta salentino Marcello Buttazzo la cui produzione editoriale continua ad essere prolifica di piccoli gioielli.

È recente la raccolta “Guardai/nel tuo cielo,/il cielo degli azzurri destini,/per ritrovare tracce di me” uscita per i tipi I Quaderni del Bardo. Una copertina color turchese è presagio di un volo pindarico nei versi di Buttazzo che dedica il lavoro poetico alla madre, figura emblematica della sua esistenza e del suo stesso poetare giacché in lei rivede inizio e compimento di ogni sua ispirazione.

Ulteriore conferma la si trova nell’esergo nel quale si chiama in causa uno dei più grandi poeti salentini del novecento, Ercole Ugo D’Andrea: “Dice che è fiorito il mandorlo,/l’ha detto un bambino della scuola/a mia madre,/hanno la stessa età/il bambino il mandorlo mia madre.”

A corredo del volume spiccano le note di lettura affidate a Chiara Evangelista che coglie l’estrema vitalità, la leggiadria, la forza magnetica, la bellezza e il candore nello stile di Marcello Buttazzo mentre Vito Antonio Conte fa emergere l’aspetto più intimista di una poesia che verte intorno alla figura di donna e a una forma d’amore declinato in tutte le sue molteplici espressioni.

Cinquantadue componimenti formano la struttura di un testo che spicca nella produzione poetica salentina e soprattutto non ha eguali. Impareggiabile è la forza metrico sintattica dei versi che rispecchiano un’algebra emotiva; splendida è l’armonia del succedersi di metafore e similitudini; accattivante è la sinuosità del fraseggio poetico che ha insito il dono del suono.

Questa è la tua terra,

madre fanciulla,

la terra che vivesti, che amasti

e m’insegnasti nei tuoi racconti quotidiani. […]

Madre,

La tua lieve parola

è pane che nutre,

giorno che nasce di continuo,

la mia patria

d’eterna appartenenza.

Se la parola è la patria di Marcello Buttazzo, la lettura non può che essere la nostra bussola per diventare cittadini di un mondo dove alla poesia le viene riconosciuto l’atto eroico di sancire la libertà di ogni individuo.

Con questo libro pregno di chiara luce, il poeta ci ricorda come sia impossibile sfuggire al bisogno più intimo di scavare nella propria profondità e scegliere consapevolmente di dare ascolto all’io più profondo che scorre sotto la superficie di una vita che a volte tende ad allontanarci da questo arduo compito.

Amo le mine vaganti

nell’anima,

la lacerazione addolcita e ricucita.

È una poesia quella di Buttazzo impollinata di prosa, è un verseggiare il suo che crea grandi echi in grado di combattere contro le manchevolezze della memoria dando vita a un libro che appare più come un affresco in cui la poesia è occhio, orecchio, voce di un sentire e il linguaggio pare avere sapore, colore, vibrazione. Ammirando l’affresco o leggendo ci si immerge in un abisso di calore sensuale che risveglia i sensi, dov’è possibile setacciare le esperienze negative, filtrarle e gettarle via lasciando posto ai sogni.

Questo mondo che Buttazzo ha creato con carta, penna e parole altro non è se non un rifugio dove prevale la ragione poetica. Il suo contributo più grande è quello di averci consegnato il linguaggio dell’emozione e la lettura dei suoi componimenti diviene un’educazione al sentire.

Alla forza poetica, Marcello Buttazzo abdica se stesso e in essa si ritrova.

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