Categories:

Vi avevo già presentato la casa editrice Parapiglia con la recensione del libro “Io odio la matematica” di Emanuela De Ros, oggi ritorno a soffermarmi su questa nuova realtà editoriale che pubblica dei libri rivolti ai ragazzi particolarmente belli e interessanti.

“Il giallo delle pagine mischiate” di Pablo De Santis e tradotto dallo spagnolo da Francesca Caddeo racconta la storia di Dario che il giorno del suo venticinquesimo compleanno riceve da parte del padre un dono del tutto inaspettato.

La storia arricchita dai disegni speciali e preziosi di Federico Appel è divertente e ricca di colpi di scena. Tutto ha inizio con la notizia che vede il giovane Dario aver ereditato da suo zio la mitica casa editrice.

“La casa editrice si chiamava La Fusoliera”, misterioso nome la cui origine lo zio Luis non si era mai preso il disturbo di spiegare. Dal tono di mio padre seppi che l’eletto, colui che doveva portare a termine la missione di risollevare La Fusoliera, ero io. Mio padre mi si accostò, mi fissò con l’emozione e il sollievo con cui si guardano i martiri e appoggiò la sua mano sulla mia spalla. Per il significato del gesto, sentii come su di me gravasse il peso di una colonna di marmo. <<Confidiamo in te>>. La prima persona plurale sembrava riferirsi non solo a mia madre e a lui, ma all’intera umanità.”

Sebbene la notizia possa apparire entusiasmante in realtà indica l’inizio di una serie di guai. L’attività editoriale infatti è sull’orlo del fallimento e fino ad allora i nomi degli autori che avevano pubblicato con “La Fusoliera” altro non erano che pseudonimi dello zio defunto che amava vergare storie improbabili.

Cosa fare, allora? Dario decide di fare ordine in questo grande “parapiglia” ed ecco che Greta, la giovane assistente di suo zio, gli consegna un manoscritto. Qui è narrata la storia dell’investigatore Montaner che a sua volta deve ritrovare il manoscritto perduto del compianto scrittore André Dubuffet.
La ricerca del manoscritto perduto mantiene viva una storia che coinvolge il lettore nell’affascinante mondo dei libri. Le avventure compiute da Dario e Greta in un mondo fatto di pagine e inchiostro possono salvare le sorti della casa editrice.

Seguendo le tracce disseminate in una narrazione scorrevole, facendo attenzione agli indizi sparsi e provando insieme ai protagonisti a dare un ordine numerico alle numerose pagine recuperando quelle perdute sicuramente si riuscirà a trovare la soluzione a un enigma letterario affascinante e coinvolgente.

Con “Il fantasma del Generale” Guido Quarzo ci fa compiere un salto nel tempo e nello spazio.

Siamo nel 1899, in un borgo lontano dove nella notte sfrecciano velocemente delle biciclette luccicanti.

E’ estate e qualcosa di strano aleggia nell’aria. Qualcuno dice di aver visto una donna serpente, qualcun altro è certo di aver incontrato un fantasma che gira di notte.

A seminare il terrore o a stuzzicare la fantasia è un gruppo di ragazzini che giura di essere stato disturbato nel cuore della notte da un fantasma senza volto. L’immaginazione prende il largo e si propaga a briglie sciolte tra le strade di questo borgo. Gli abitanti sono in estasi e tra l’occhio di vetro di un famoso criminale e bambine che spostano oggetti qualcuno bada bene a collezionare cartoline fantastiche.

La storia accompagnata dalle delicate illustrazioni di Nella Bosnia ha inizio con la presentazione di una casa divenuta museo. Si dice fosse stata un tempo la dimora di Cesare Mondrigo, il Generale. A fare da custode all’abitacolo c’è Fosco, il più vecchio dei vecchi di Borgo. A visitare quel museo non ci andava mai nessuno e così Fosco per riempire le sue giornate raccontava ai ragazzini del piccolo paese le storie dell’eroe Cesare Mondrigo.

“<<Al Generale>>, raccontava Fosco macinando le sue noci, <<nessuno riusciva mai a fare un ritratto. Aveva addosso una specie di maledizione: per questo non esiste al mondo nessun ritratto di Cesare Mondrigo, nè ai piedi nè a cavallo. Ci hanno provato i più famosi pittori: il Generale si metteva in posa bello fermo come un baccalà e tutto andava bene finchè non si trattava di dipingere la faccia. A quel punto anche i più bravi si confondevano e pasticciavano con i colori, si lasciavano scappare pennellate di storto e alla fine dovevano rinunciare. Ci hanno provato anche i fotografi, poveretti, con il Generale sempre fermo sbaccalito e loro si affannavano con le macchine sotto il telo nero. Macchè, le lastre venivano fuori tutte scure, o magari si vedeva bene il paesaggio, o il vestito con i bottoni d’oro che luccicavano, ma al posto della faccia niente: un’ombra buia e niente altro. Ve lo dico, era come una malattia. Per non parlare degli scultori che erano i più disperati. Quando provavano a scolpire la faccia del Mondrigo, il marmo si sbriciolava sotto gli scalpelli come pane raffermo… E insomma, così è finita che i ritratti e le statue del Generale, invece di avere la sua faccia vera, hanno una faccia qualunque, di fantasia, o addirittura nessuna faccia. E si dice che il fantasma del Mondrigo se ne vada a spasso per le colline di notte, senza pace, a cercare di specchiarsi nei torrenti e nelle pozze o nei vetri delle finestre, proprio per cercare la sua faccia… Ma sono storie, non c’è mica d’aver paura>>”.

 

 

 

 

 

 

No responses yet

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *