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“Hachiko. Il cane che aspettava” scritto da Lluis Prats, illustrato da Zuzanna Celej, tradotto dal catalano da Alberto Cristofori e pubblicato da Albe Edizioni è una storia particolarmente intensa e commovente.

Suddiviso in due parti il testo narra il legame unico e speciale tra un cucciolo di cane akita e il suo adorabile padrone. Siamo a Tokyo ed è il 1924, nel quartiere di Shibuya il professore Eisaburo vive serenamente con la sua famiglia  finchè un giorno un incontro speciale renderà più prezioso ogni attimo della sua esistenza.

La stazione della città è il fulcro di un’amicizia che sembra non morire nonostante la separazione ma prima che i fatti di questo racconto realmente accaduto stravolgano la quiete dei protagonisti c’è la bellezza di un’amicizia semplice e straordinaria.

Bianco come un fiocco di neve o come i fiori di ciliegio Hachiko diviene il miglior amico, confidente, compagno di un uomo che condivide con il suo cane la meraviglia della vita.

“Perchè Hachiko?”

“Non gli avete visto le zampe? Le ha storte. Sembra un hachi, un numero otto.” 

Era un cane da guerrieri, da samurai e la sua tenacia, l’irremovibile fermezza sono le peculiarità di un animale che nel corso della sua vita ha dimostrato di possedere e ha difeso strenuamente un nobilissimo senso di umanità.

Il tempo, il susseguirsi delle stagioni e la natura in tutto il suo costante mutamento fanno da filo conduttore a una trama che regala incanto e leggiadria sia visiva grazie alle delicatissime illustrazioni che stilistica per merito di una narrazione fluida e sapiente.

Le passeggiate nel parco Yoyogi o sulla spiaggia di Kamakura offrono momenti indimenticabili ad Hachiko e al professore Eisaburo che non si stanca mai di esaltare ogni singolo dettaglio del mondo circostante.

“La primavera era nel pieno della sua fioritura e i cedri, alti come gli alberi dei vascelli ancorati nel porto di Yokohama, facevano ombra ai pruni. Le ninfee cantavano nei laghi e i fiori di loto sorridevano allegri al sole. Ma fra tutti i fiori, quelli che brillavano di più erano i crisantemi, simbolo del Giappone. “Guarda i colori, Hachiko”, disse il professore una di quelle sere. “Sono così intensi, l’azzurro del cielo è così puro, gli ocra così vibranti, che un pittore non riuscirebbe a farne di uguali in tutta la sua vita. Puoi scommettere quello che vuoi”. Hachiko faceva di sì con la testa perchè gli piacevano le passeggiate della domenica. Il professore aveva molte cose da insegnare e lo faceva sempre come se fosse un libro aperto. “

Tutto suscita stupore nell’uomo che sembra essere il fulcro della vita di Hachiko. Al cane si affezionano anche la moglie del professore, la signora Yaeko, e la figlia Chizuko insieme al marito, il dottor Tsumoru, così come tutti coloro che frequentano la stazione e hanno modo di venire a contatto con il cucciolo ma sarà con il professore Eisaburo che Hachiko stringerà un legame esclusivo.

L’empatia tra i due si manifesta nelle pagine di un testo che regala emozioni genuine ed immagini che emanano profumi e sapori, il lettore si illude di gustare il tè con i personaggi e assaporare la quiete di un rassicurante rituale o gustare la dolcezza del latte tiepido offerto quotidianamente al cucciolo.

Poi accade l’irreparabile, la disgrazia, la morte improvvisa del professore e il suo non ritorno creano una frattura dinanzi alla quale Hachiko non intente arrendersi. L’inaccettabile rassegnazione del cane davanti all’assenza del suo padrone che non scende più dal treno come aveva fatto per tanto tempo ogni pomeriggio si trasforma in un’apparente incomprensibile ostinazione.

Hachiko continua ad aspettare il professore Eisaburo, lo fa ogni giorno, alla stessa ora. Puntuale come un orologio svizzero il cane non si stanca mai di attendere. Poggia o vento, freddo o caldo Hachiko è lì.

“La mattina del 21 maggio, quando i ciliegi erano sbocciati con mille sfumature di rosa e sembrava che Tokyo fosse un giardino dipinto dall’infinita tavolozza di un artista, Hachiko si svegliò preoccupato e addirittura inquieto.”

Il presagio scuote il cane che continua a vivere anche per il suo padrone. Ricorda le sue descrizioni, le parole, rivive le abitudini che insieme apprezzavano come la festa del Kodomo che consiste nell’esporre sui balconi e le finestre degli aquiloni a forma di carpe di fiume e il loro sventolare rappresenta la forza dei bambini che crescono.

Hachiko che ormai non è più un cucciolo vive grazie al ricordo e all’affetto che un padrone così speciale gli ha riservato. Il finale di questa splendida storia lo ritroviamo su vecchi articoli di giornale che celebrano il cane al quale è stata dedicata una statua inaugurata nel 1934, un anno prima che Hachiko morisse nella stessa piazza dove aspettava il professo Ueno.

Oggi ci sono anche due film ispirati alla vita di Hachiko ma solo la lettura di un libro come quello pubblicato da Albe Edizioni può esaltare pienamente questa splendida storia.

 

 

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