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Ne “Il femminismo delle zingare” edito da Mimesis nella collana “Relazioni pericolose”, Laura Corradi affronta un fenomeno sociale poco conosciuto in Europa ossia le sfide delle attiviste zingare, protagoniste attive di una narrazione storica non ancora raccontata.

Perseguitate nel passato ma anche nel presente, le zingare appartengono alla più grande minoranza d’Europa. La comunità zingara è “la più demonizzata d’Europa, soggetta a costanti e ripetute stereotipizzazioni, oggi nuovamente assurta a capro espiatorio, in particolare a causa delle politiche neoliberali e della crisi economica”; l’anti-zingarismo infatti risulta essere attualmente “l’unica forma di razzismo socialmente accettata in Europa”.

La Corradi – ex operaia, traveller, attivista, studiosa, impegnata nei movimenti femministi, queer, antirazzisti ed ecologisti, laureata a Padova in Scienze Politiche, ha conseguito un Ph.D. in Sociologia alla University of California di Santa Cruz, dove insegna Feminist Theory e Sociology of Sexualities; attualmente ricercatrice e docente presso l’Università della Calabria, si occupa di studi di genere e metodo intersezionale e di sociologia della salute e dell’ambiente – ha scritto un volume che offre una brillante analisi sulle diverse forme di oppressione rilanciando un principio pratico del femminismo radicale: “la questione non è mai occuparsi di “donne rom”, in quanto vittime, bensì di entrare in relazione per potenziarsi a vicenda”.

Interrogarsi su come si sviluppa una coscienza di genere in un contesto in cui il ruolo della donna ha un’importanza fondamentale per la sopravvivenza della comunità stessa o comprendere quali tratti distintivi abbia il femminismo delle zingare rispetto a quello di altri gruppi sociali, sono alcune delle questioni trattate nel libro pubblicato nel 2018 negli Stati Uniti per poi essere tradotto in italiano.

Introdotto nel XV secolo il termine viene utilizzato non solo per designare chi ha vita nomade ma anche per indicare le Zingare come ladre o rapitrici di bambini. A volte è perfino inteso come sinonimo di insulto: si dice zingaro per indicare una persona pigra, sporca, incapace di lavorare, inaffidabile. Scrive l’autrice: “il termine richiama l’idea di minore, minuscolo, insignificante, trascurabile o inferiore; esso appartiene alla cornice cognitiva dominante che svaluta gli oggetti della pratica definitoria”.

Per questo il libro può essere letto come lo strumento per sovvertire il significato delle parole e rivalutare il linguaggio. La preziosa pubblicazione offre un’importante ricostruzione storica e sociale della comunità rom, come la persecuzione che hanno subito spesso a causa di sentenze dei tribunali cattolici dell’Inquisizione, specialmente in Italia e in Spagna. Intere comunità zingare rom furono costrette alla schiavitù nei Balcani e oltreoceano sono state ridotte in catene insieme alle popolazioni africane e ai nativi americani e messi ai lavori forzati nelle colonie inglesi. L’apice della persecuzione si è raggiunta nel periodo nazista con i genocidi. Durante la Seconda guerra mondiale circa mezzo milione di Rom, Sinti e altri gruppi zingari sono stati sterminati nei campi di concentramento nazisti.

Gli otto capitoli preceduti da una prefazione, dalla nota terminologica sulla politica delle parole e da una nota storica sulle donne, famiglie e comunità dal Porrajmos all’anti-zingarismo offrono un prezioso approfondimento sulla questione nella quale sono presi in considerazione alcuni esempi di diffusione di una coscienza di genere, di nascita di gruppi reti di donne zingare e di forme specifiche di femminismo. «La libertà che negli anni Settanta il vento femminista ha portato con sé e che ha rimodellato le società dell’Europa occidentale sembrava non avere scosso le famiglie rom. Tuttavia, durante gli anni Novanta, dopo la riunificazione della Germania, fioriscono nuovi gruppi di donne zingare”.

Molto interessante è il capitolo dedicato all’analisi di alcuni scritti collettivi sul femminismo rom pubblicati su riviste internazionali o quello in cui si affrontano le condizioni e le aspirazioni dei queer, persone che tendono ad essere escluse dalla famiglia e dalla comunità. Anche le università risultano esser luoghi coloniali dove accade che “la maggior parte degli studi rom sono ancora controllati da studiosi/e bianchi/e non rom, e le élite culturali e le gerarchie accademiche difendono i loro privilegi”.

Affinchè la situazione cambi e non si abbiano più dei pregiudizi verso le persone zingare, è importante che i media contribuiscano a produrre conoscenze, idee e immagini e che si applichino delle politiche antirazziste.

Il libro, innovativo e rigoroso, fondamentale per avviare una riflessione intersezionale, aumentare la consapevolezza di ciascuno di noi e un’attenzione specifica ai bisogni delle donne rom, scomponendo il groviglio di stereotipi, ci pone al corrente degli episodi della Resistenza zingara che in Europa è poco conosciuta. Si tratta di avvenimenti che hanno subito una sistematica cancellazione della memoria funzionale con lo scopo di “rendere invisibili la storia e l’agire politico delle comunità zingare”. Le comunità nomadi infatti non hanno un archivio e questo genera inevitabilmente una frammentazione della memoria e dell’identità culturale che sembra essere costretta ad avere nonostante il trascorrere del tempo, il medesimo destino.

 

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