Attraverso le vicende di Luigi e Libero, nel nuovo libro di Giovanni Tizian “Il clan degli invisibili” edito da Mondadori, ci viene offerto uno spaccato di storia attuale sullo stato in cui verte il giornalismo italiano. Le minacce e le intimidazioni che riceve il protagonista, Luigi De Carlo, caporedattore del “Mezzogiorno del Nord”, rappresentano il campanello d’allarme di una finta democrazia che regna nel nostro Paese dove perfino il diritto alla libertà di stampa diventa latente.

Con questo terzo lavoro letterario, Tizian rimarca l’impegno già portato avanti con i suoi articoli d’inchiesta che hanno consentito di fare luce sui loschi affari tra mafia e politica. Nel volume si ripercorrono alcune assonanze con la professione e la stessa esistenza dell’autore che nel romanzo racconta lucidamente, con l’onestà intellettuale che lo contraddistingue, cosa accade ai cronisti che decidono di non scendere a compromessi e che non patteggiano con chi vuole comprare il loro silenzio perchè Giovanni Tizian appartiene alla famiglia di quei giornalisti con la schiena dritta, convinti che “far conoscere il male che attanaglia un Paese è dovere, un contributo di giustizia alle vittime che non l’hanno avuta”.

Ne libro l’indagine condotta da Luigi è la sua condanna a morte. In seguito all’assassinio, lo stesso clan che ne aveva decretato l’uccisione si illude di riuscire a frenare la pubblicazione dei cinque articoli del reportage intitolato “Gli Invisibili della ‘ndrangheta” nel quale erano contenute scottanti rivelazioni su loschi affari nei quali erano invischiati potenti politici. L’amico Libero tuttavia decide ostinatamente di portare avanti il lavoro iniziato con Luigi superando la paura, affrontando con temerarietà il crescendo di avvertimenti e sfidando le continue richieste da parte dei criminali che avrebbero voluto insabbiare l’intera vicenda facendola cadere nel dimenticatoio.

La volontà di tenere viva la memoria di Luigi contribuisce a strappare dall’oblio, le migliaia di vittime della mafia perché “in questo Paese senza memoria funziona così”scrive Tizian che di certo ricorda il sacrificio del proprio padre ucciso dalla ‘ndrangheta per non essersi piegato ai loro ricatti “come se dimenticare fosse un esercizio mentale per vivere tranquilli, senza carichi di responsabilità”. Ed è contro questo lento assuefarsi che la lettura del testo si rivela  indispensabile per fronteggiare l’indifferenza della gente e la loro placida volontà di nascondersi dietro il coraggio dei pochi che si battono per il bene di tutti.

A muovere le fila della trama sono i ragazzi del clan De Pasquale che con l’orgoglio inculcatogli dai loro padri decidono di percorrere le stesse orme. Non in Calabria, ma al Nord. Quel Settentrione civile e sviluppato, dove il progresso ha arricchito tutti. La storia infatti è ambientata a Bologna, capoluogo di una regione che ha accolto Giovanni Tizian da ragazzino e dove ha mosso i primi passi nel mondo del giornalismo diventando una delle firme più note e apprezzate del panorama. La città “generosa con tutti, amante infaticabile, indifferente con i potenti” sebbene venga descritta dall’autore con estremo affetto riceve anche delle critiche, quanto mai veritiere perchè Bologna si presenta come lo scenario di un teatro criminale pericoloso e spesso sottovalutato.

Ne “Il clan degli invisibili” Giovanni Tizian ci propone passaggi molto intensi che inducono alla riflessione. È straordinaria la parte in cui si ricorda il sacrificio dei giudici antimafia come Falcone e Borsellino e l’indimenticabile monito del giornalista Pippo Fava “A che serve vivere se non c’è il coraggio di lottare”. Il libro inoltre propone una meticolosa documentazione sull’universo criminale in cui l’autore si sofferma sui riti d’iniziazione e i gradi di affiliazione della ‘ndrangheta, sulla logica spietata dell’organizzazione, i traffici di droga e gli affari milionari. Straordinaria è la capacità dell’autore di sbeffeggiare l’aspetto più retrogrado della loro cultura intrisa di pregiudizi nella quale non si riesce ad accettare il diverso e si condanna brutalmente l’omosessualità. Ma più di tutto e di tutti, a far paura è l’informazione. I clan la ritengono fortemente pericolosa perché “loro che vogliono imporsi sulle nostre vite e gestirle con le armi e il denaro” sanno bene che (alcuni) giornalisti“vogliono rendere noti i nomi, i cognomi, le facce e i travestimenti di cui si celano”.

Onestà e dignità sono le parole chiave di un testo che ci presenta gli aspetti più fragili di una società i cui valori sembra si stiano sgretolando come le certezze che un settore come quello del giornalismo dovrebbe garantire a tutti i cittadini affinchè attraverso la parola possano ritrovare il coraggio di indignarsi per combattere uniti contro un male comune. La mafia si nutre dei nostri silenzi e se non vogliamo riempire quelle stesse pagine dei quotidiani di inutile e sterile retorica, lottiamo insieme a chi ha fatto della scrittura, la propria arma di difesa. Denunciamo e ribelliamoci di fronte alle numerose malefatte alle quali troppo spesso assistiamo inermi.

Leggere “Il clan degli invisibili” è il modo migliore per iniziare questa lotta, la nostra.

L’articolo è stato pubblicato il 28 Gennaio 2015 sul blog Anam de Linkiesta a firma di Paola Bisconti.

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