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“Album di famiglia” di Sara Bertrand tradotto dallo spagnolo da Manuela Galassi e pubblicato da Albe Edizioni è un libro necessario perchè consente di conoscere cos’è avvenuto negli anni della dittatura in Cile e aiuta a non dimenticare uno dei periodi più bui della storia dell’umanità.

La voce narrante è quella di Elena, giovane donna che ricostruisce la sua infanzia e l’adolescenza non solo per lei ma anche per la propria madre che ha perso la memoria.

“Mia madre iniziò a perdere la memoria in un giorno qualunque. […] Una dimenticanza fugace. […] Segnò il passaggio in un mondo bizzarro, un mondo nel quale io e i miei fratelli non abbiamo avuto alcun posto. […] Dimenticò la nostra storia, la storia dei suoi figli. Come se quel carico pesasse troppo per sostenerlo un solo giorno di più”.

È un peso enorme quello che incombe sul passato di Elena e di tutti quei bambini che non sapevano ma percepivano il dramma che vivevano gli adulti.

L’ombra della dittatura giunse anche in un quartiere lontano dal centro di un Paese sudamericano dove un nucleo familiare unito e affiatato fu costretto a fare i conti con la gravità della situazione stando ben attenti a non rovinare l’infanzia dei bambini che nonostante tutto percepirono la paura, il terrore sussurrato nelle parole a bassa voce e negli sguardi sgomenti di chi coltivava nel proprio animo l’istinto della ribellione.

“Perchè anche se sulla testa dell’uomo cade una forza capace di curvargli le spalle sotto il peso del suo segreto, sopravvive in lui la grandezza. Una pulsione che lo trascina nella direzione oppodsta. È un salto, nient’altro”.

Le ristrettezze, le limitazioni, il coprifuoco, le persone che sparivano di notte, i segreti, la diffidenza, gli uomini in divisa appostati in ogni angolo della città, il suono assordante delle sirene, le madri che cercavano i loro figli che scomparivano nel nulla… questo e molto altro è raccontato in un libro intenso e profondo che affronta una tematica ostile, quello del regime dittatoriale. Si tratta di un potere che ordinava il sequestro anche i libri perchè ritenuti pericolosi e per questo andavano nascosti, messi al riparo come vite da salvare.

“Ricordo mia nonna coi capelli bianchi raccolti sulla nuca, che tneva in braccio, come se volesse cullarli Baudelaire, Dostoevskiji, Simone De Beauvoir. Anche a noi toccò aiutare trasportando enciclopedie e altri mattoni che pesavano una tonnellata e avevano dentro migliaia di parole e, benchè fossimo curiosi di sapere che pericolo nascondevano, non li rivedemmo più”.

Il volume arricchito dalle illustrazioni di Francesco Quadri restituisce al lettore un affresco veritiero di un capitolo del passato da conoscere. Le tavole monocromatiche che si alternano tra le pagine del libro ricostruiscono scene e situazioni di ciò che è stato. Sembrano scatti fotografici in bianco e nero che appartengono a un album, uno scrigno dei ricordi. Fotografie come quelle che scattava Elena.

“Qualunque immagine è oltre. E penso che in questa ricerca ci sia l’arroganza di reclamare come proprio qualcosa che appartiene a un istante. Come nella scrittura, un esercizio che esige un’occasione. Un racconto come riflesso di quello sguardo, di quella foto. Così come le parole che individuano spazi e suggeriscono modi di guardare il mondo, i ricordi”.

E alle parole si affida anche l’autrice che tramite la voce di Elena ci consegnando una narrazione sublime nella quale emerge il turbinio di emozioni con le quali la protagonista della storia ha convissuto un’intera esistenza.

“Avevo l’inverno dentro di me, un manto di lana spessa che mi sprofondava in gravi pensieri”.

Un terrore ancestrale ha abitato nel cuore di Elena e degli altri bambini consapevoli di essere stati privati della libertà, il bene più prezioso.

 

 

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