Categories:

Per la rubrica “Tracce di legalità” vi presento i libri di Paolo Miggiano, laureato in Scienze dell’Investigazione, è giornalista pubblicista. Per trentaquattro anni elicotterista della Polizia di Stato.

È coordinatore delle attività della Fondazione Pol.i.s. per le vittime innocenti della criminalità e i beni confiscati alle mafie e membro dell’Associazione Cittadinanzattiva – Tribunale per i diritti del malato.

Tra i suoi libri Morire a Procida, la Meridiana, Molfetta; I nuovi modelli di sicurezza urbana. L’esperienza della Regione Campania, Aracne, Roma; Qualcun altro bussò alla porta. Dario Scherillo e altre storie di persone vittime della violenza criminale, Spotzone, Mugnano di Napoli.

I suoi saggi sui fenomeni mafiosi sono pubblicati in “Antimafia” – periodico del Centro Studi Lenin Mancuso di Palermo – e in “Polizia e Democrazia”.

A testa alta. Federico Del Prete: una storia di resistenza alla camorra

Ci sono storie che sembra siano destinate a rimanere nell’oblio del passato di un Paese che annovera tra i suoi figli, uomini e donne che hanno perso la vita in nome di un principio. In quel dimenticatoio sociale nato dall’indifferenza collettiva compaiono fatiche letterarie in grado di restituire ciò che si sarebbe potuto dileguare nel nulla. Il libro di Paolo Miggiano “A testa alta. Federico Del Prete: una storia di resistenza alla camorra” edito da Di Girolamo offre pagine di verità riguardo una vicenda tanto tragica quanto coraggiosa. Il testo si snoda in vari capitoli che raccontano l’eroica battaglia di un venditore ambulante stanco di assistere ai soprusi da parte di gente senza scrupoli.

Con piglio giornalistico e una straordinaria intensità letteraria Paolo Miggiano, ex elicotterista della Polizia di Stato e coordinatore della Fondazione Pol.i.s., riporta con minuziosa dovizia di dettagli, una vicenda che non può e non deve essere ignorata. Evitando l’aridità di una narrazione asettica, con la destrezza stilistica dell’autore si procede in una lettura che offre anfratti di pura bellezza come la descrizione che Miggiano fa riguardo il colorato mondo del mercato. È un’immagine gioiosa che evoca momenti felici di una comunità in grado di vivere e convivere in un contesto piacevole come può essere la fiera del paese. Quasi commovente è la descrizione della terra d’origine dello scrittore, il Salento, che per certi versi rispecchia un’atmosfera simile a quei luoghi dove però oltre all’apparente felicità si celano angherie. Ingiustizie che Federico Del Prete ha provato con ammirevole caparbietà a sconfiggere.

Miggiano non si esime dal descrivere gli sforzi dei venditori e la fatica giornaliera di coloro che oltre ad affrontare la precarietà di un arduo mestiere erano costretti a pagare il pizzo agli esponenti del clan dei casalesi e a riscuoterlo proprio a chi avrebbe dovuto troncare quel sistema perverso e illegale. Sono le divise del disonore, scrive l’autore in uno dei capitoli del libro, che distruggono l’operato dei colleghi e non solo. È nella figura del vigile infedele ossia Mattia Sorrentino che si affronta un tema delicato e scandaloso.

In questo proliferare di prevaricazioni Federico Del Prete non intendeva piegare la propria dignità alle richieste della camorra e come una forza della natura sempre in movimento seppur consapevole di combattere nella solitudine più assoluta, il grande condottiero decide di lottare e lo fa senza sosta fino al 18 febbraio 2002 quando sei colpi di pistola calibro 7.65 gli furono sparati contro. Quella sera come le altre Del Prete si trovava al civico 175 di via Baracca, a Casal di Principe, sede dello Snaa, Sindacato Nazionale Autonomo Ambulanti, da lui costituito l’11 aprile del 2000. Ed è lì che fu ritrovato con i denti stretti “come se fosse arrabbiato con chi aveva visto prima di morire”.

Il pregio del volume non sta solo nell’aver riportato alla luce la storia di Federico Del Prete ma anche nell’onestà intellettuale dell’autore nell’esporre il proprio j’accuse contro coloro che hanno lasciato solo un uomo che meritava sostegno e appoggio. Straordinario è il capitolo “La morte in solitudine di un sindacalista” dove si avverte tra le righe, un pathos struggente quasi da colmare quel vuoto generato dal disinteresse generale.

Salvo rare eccezioni la vicenda di Del Prete è stata seguita con particolare interesse dal magistrato Cantone che del libro cura la prefazione e da alcuni giornalisti. Giuseppe Crimaldi, cronista del “Il Mattino”, intuì la gravità dei fatti che l’amico Federico Del Prete intendeva denunciare. Insieme portarono avanti una serie di indagini che furono puntualmente pubblicate sul quotidiano mettendo in atto una vera e propria campagna d’informazione che produsse effetti positivi. Il dramma dei commercianti era finalmente venuto alla luce e i rappresentanti di associazioni come l’Ascom e alcuni esponenti di altre istituzioni presero posizione sull’accaduto.

Il ruolo dell’informazione nella vicenda di Federico Del Prete è fondamentale. A confermarlo è l’esito del lavoro svoto dal giornalista Crimaldi, ma non solo. Il sindacalista aveva già intuito quanto fosse fondamentale uno strumento di diffusione di idee per questo fondò il mensile “L’ambulante”, un foglio distribuito gratuitamente, nel quale erano riportate con estrema chiarezza e semplicità le informazioni relative alla situazione nella quale vertevano i lavoratori della categoria dell’intera regione. Dal pamphlet che raccoglieva le numerose denunce si intuisce la determinazione di un uomo che ha lasciato come eredità la capacità di indignarsi davanti alla prepotenza. Un’eredità che i suoi figli hanno saputo cogliere e farne tesoro.

Singolari sono i fatti accaduti a Gennaro Del Prete, al fratello Salvatore e alla madre Teresa Costanzo, prima moglie di Federico Del Prete ai quali in seguito alla tragica morte del padre hanno rischiato di non ottenere il riconoscimento dei diritti che spettano ai parenti delle vittime innocenti della criminalità organizzata come invece è accaduto ai componenti della seconda famiglia di Del Prete sposatosi in seconde nozze con Maria Cafiero dalla cui unione nacquero cinque figli.

Con l’impegno e la tenacia di Gennaro, caparbio e temerario come il padre, giustizia è stata ottenuta e oggi la sua testimonianza raccolta nel testo di Miggiano consente, come scrive Tonino Palmese nella postfazione, di fare memoria. Una memoria indispensabile per poter camminare “A testa alta” sulle orme di Federico Del Prete.

*L’aticolo è stato pubblicato sul blog Anam de Linkiesta il 16 agosto 2014 a firma di Paola Bisconti.

Ali spezzate. Annalisa Durante. Morire a Forcella a quattordici anni

Dopo aver contribuito a commemorare la figura di Federico Del Prete, il sindacalista ucciso per essersi ribellato al pizzo imposto ai commercianti di Casal Di principe, con uno straordinario testo che ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti e consensi di critica e pubblico, Paolo Miggiano ci racconta un’altra storia dalla quale si trae il coraggio e la speranza di ribellarsi al sistema mafioso.

La vicenda di Annalisa Durante non è solo la conseguenza di un dilagare di violenza nel territorio di Forcella, ma il trait d’union tra chi vuole impadronirsi di un quartiere per affermare i propri affari illegali e coloro che invece la camorra la vorrebbero sconfiggere. Con l’omicidio della quattordicenne avvenuto la sera del 27 marzo 2004, sono in molti ad essere profondamente colpiti e segnati da questo gesto sanguinario. A fare la loro parte non solo le figure istituzionali che in seguito al clamore mediatico sul fatto elargiscono promesse rivelatesi infrante, ma soprattutto chi dal dolore più profondo dovuto alla perdita di una figlia è riuscito a smuovere le coscienze di quei cittadini onesti che in seguito all’assassinio di Annalisa hanno voluto impegnarsi per cambiare realmente lo stato delle cose.

“Ali spezzate. Annalisa Durante. Morire a Forcella a quattordici anni” è il titolo della recente pubblicazione della casa editrice Di Girolamo che come afferma l’autore nel prologo, si offre ai lettori come “un atto d’amore per la piccola Annalisa e per chi come lei è morto senza colpe”. Le note introduttive di Paolo Siani, Presidente della Fondazione Polis; di Andrea Orlando, Ministro della Giustizia, e la prefazione di Gigi Di Fiore, giornalista e saggista, impreziosiscono il testo che oltre ad offrire fondamentali informazioni utili a comprendere la dinamica dei fatti avvenuti quella tragica sera di undici anni fa, ci aiuta anche a districare le tortuose dinamiche messe in atto dai clan mafiosi, in questo caso i Giuliano e i Mazzarella, pronti a farsi un’atroce guerra a costo di impossessarsi del controllo del traffico della droga.

A descrivere ciò che è avvenuto prima e dopo l’omicidio di Annalisa, è la penna attenta e puntuale di Paolo Miggiano che anche questa volta ci offre un racconto lucido e veritiero di quello che è stato uno dei più efferati agguati di mafia dove per l’ennesima volta, a perdere la vita, è stata un’anima innocente.

Ricordando il sacrificio della ragazzina, lo scrittore mette in risalto la caparbietà del padre, Giovanni Durante, sostenuto da due straordinarie figure: il giornalista Arnaldo Capezzuto e il parroco don Luigi Merola. Le audaci inchieste avviate dal reporter di Napoli più, il primo cronista a trovarsi sul luogo dell’omicidio, e il costante impegno del prete nel coinvolgere le famiglie nelle attività parrocchiali allontanando dalla strada i bambini, infastidiscono però gli esponenti della criminalità organizzata che avviano una serie di minacce e intimidazioni.

Arnaldo e don Luigi mettono a repentaglio la loro vita pur di stare dalla parte della famiglia Durante impegnata a dare una nuova opportunità di riqualificazione al quartiere Forcella, un’area di Napoli dove il degrado sociale e l’abbandono da parte della classe dirigente hanno preso il sopravvento lasciando che il quartiere diventasse la roccaforte di un gruppo storico della camorra napoletana. La costanza con la quale Arnaldo segue i processi riportando i dettagli di ogni avvenimento e le omelie di don Luigi in cui senza remore condanna la mafia allarmano i delinquenti preoccupati del fatto che la gente del quartiere si sta lasciando trasportare dall’ondata del cambiamento.

In seguito alla morte della ragazza è stato ritrovato un diario dove Annalisa appuntava i suoi segreti, sogni e speranze. La figlia di Giovanni amava scrivere e leggere ed è per questo che il padre con la sola forza della speranza ha messo in piedi una biblioteca nata grazie alle numerose donazioni di libri giunti come gesto solidale da parte di chi crede fermamente che la cultura sia uno strumento di legalità.

Ed è con questo spirito che il lettore può accostarsi alla storia di Annalisa, con la convinzione che il contributo letterario di Paolo Miggiano possa far riflettere sulla necessità di una rinascita in grado di spiccare il volo.

 *L’articolo è stato pubblicato sul blog Anam de Linkiesta il 26 marzo 2015 a firma di Paola Bisconti

 

No responses yet

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *